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La tela rappresenta un tema non raro nell’iconografia nicoliana. Nel dipinto la composizione scenica è caratterizzata da uno sviluppo in verticale: in primo piano è un monaco agostiniano con un campanello d’altare in mano, al centro sono S. Nicola, vestito con camice e pianeta, raffigurato genuflesso sui gradini di un altare nell’atto di consacrare l’ostia, e il gruppo delle anime purganti, mentre nel campo superiore sta il delicato angelo con le ali spiegate ad occupare interamente lo spazio, insieme con due testine alate poste nell’angolo a sinistra. La dettagliata descrizione degli arredi e degli oggetti indispensabili sull’altare per la celebrazione eucaristica (antependium, tovaglia, croce d’altare, candeliere, leggio, messale, cartagloria ecc.) a cui si uniscono il piattino e le ampolline appoggiati sul tavolo ligneo parzialmente visibile, evidenzia la mano di un autore attento alla risoluzione realistica dell’ambiente sacro. In particolare sono le gamme cromatiche dominate dai toni freddi delle morbide vesti dell’angelo e della pianeta di Nicola, appena segnate da calde note gialle, a tradire una dipendenza dell’opera dalla cultura artistica bolognese; da Carlo Cignani (Bologna 1628 – Forlì 1719) sembra infatti dipendere direttamente anche il bel volto dell’angelo liberatore, agevolmente confrontabile con quello realizzato nella Trasverberazione di S. Teresa nella chiesa di S. Filippo a Cingoli. L’opera del XVIII secolo, attribuita all’artista Francesco Mancini, fino dicembre 2018 era custodita nel Museo  del Santuario attualmente è stata collocata in Basilica ad ornare la parete che riveste le impalcature della Cappella del Santissimo Sacramento che dal Sisma del 2016 è inagibile.

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