VITA DI SAN NICOLA SCRITTA DA PIETRO DA MONTERUBBIANO
a cura di Francesco Santi
CAPITOLO 6. I prodigiosi miracoli
Tutto il sesto capitolo della Vita di san Nicola è dedicato ai prodigiosi miracoli che avvengono alla tomba di san Nicola. Essi sono volti alla promozione del suo culto e narrati come brevi storie a lietissimo fine. Il tema letterario principale consiste nel confronto tra i medici della terra e il medico singolare del cielo, a cui attraverso Nicola ci si rivolge. Pietro evoca così, con proprietà di linguaggio, diversi tipi di malattie agli occhi, registra il fallimento delle cure umane e il successo dell’intervento spirituale. Tuttavia quello che Pietro ci spinge ad osservare attraverso la successione delle figure che animano il suo tema non è il conflitto tra due saperi, quanto piuttosto il fatto che, attraverso il santo di cui sta narrando la vicenda, gli uomini possono desiderare molto di più di quanto si possa credere. Accanto al motivo della potenza taumaturgica del santo, noi incontriamo così, in questo brano della vita, quella della potenza del desiderio dei fedeli: l’interezza del bene è desiderabile da coloro che si affidano al santo, il quale non appare solo come colui che realizza i desideri, ma anche come colui di fronte al quale si può desiderare il massimo. Il santo è dunque un luogo di generazione del desiderio, vero oppositore al male, che è al contrario morte del desiderio. Per questa ragione in certi punti Nicola può apparire duro: in un caso, per esempio, uno storpio non ha il coraggio di desiderare l’interezza della guarigione, ma chiede di potersi muovere con un bastone: questo ha creduto di poter desiderare e questo gli è concesso dal maestro del desiderio: se avesse desiderato tutto avrebbe ottenuto tutto.
Un secondo macroscopico elemento è da registrare: i miracoli narrati in questo capitolo sono miracoli post mortem; sono i miracoli della memoria quindi. L’agiografo Pietro mostra di giungere ora alla massima coscienza del suo ruolo: il suo racconto è ormai una delle mediazioni necessarie tra il santo e il suo sepolcro; attraverso il suo racconto gli uomini riconoscono quale debba essere il loro rapporto con i propri desideri. Nicola vive ormai nella memoria e la memoria deve essere costruita: nella memoria del loro santo, chi è fedele può aspirare alla perfetta realizzazione del bene per il proprio spirito e anche per il proprio corpo.
Il lettore resterà colpito dalla concretezza del racconto: l’evocazione del gran numero di notai che servono per registrare l’abbondanza dei miracoli compiuti; la curiosità un po’ scettica dei cittadini di Firenze, posta a rappresentare la grande città in cui la fede può diventare più fredda; il dolore di una madre che preferirebbe il figlio morto piuttosto che cieco; l’uomo distrutto nelle membra dal proprio male e che non può mai staccarsi da una specie di carretto, imbrattato dal suo stesso sporco; il cieco che si ostina sulla via del pellegrinaggio a Tolentino e che abbandonato dai compagni di viaggio trascorre la notte sotto gli ulivi, dove è visitato dalla luce del santo; il suonare a festa delle campane ogni volta che un miracolo si compie. Tutte queste immagini evocano la quotidianità in cui Pietro ha vissuto. Per questo nel sesto capitolo più rari sono i richiami a fonti letterarie (anche alla Bibbia), nonostante in più punti si possa notare la solita attenzione stilistica di Pietro. Su questi aspetti, tuttavia, si potrà dire con sicurezza solo una volta compiuta la ricostruzione critica del testo, ancora in più punti incerto.
La cecità è guarita e guarite sono altre malattie agli occhi. I disabili si alzano.
Il Signore volle sì render splendido il suo santo nel momento dell’inizio della vita, come nel suo svolgersi e anche nella sua conclusione, tuttavia ancora più perfettamente volle farlo dopo la morte1. Tanto moltiplicò attraverso di lui i segni meravigliosi e i prodigi che chi volesse recitarli o scriverne, avrebbe bisogno della penna dello scriba che scrive velocemente2, di quello cioè che non con calamo o con stilo, ma con il dito della sua potenza incise le tavole di pietra sul Sinai3. Sono già passati vent’anni da quando il Signore – che solo fa grandi meraviglie4 – si degnò di mostrare ai suoi fedeli innumerevoli tipi di miracoli di questo Santo. Addirittura il numero di questi miracoli a tal punto si è accresciuto che una copiosa moltitudine di notai, quasi vinta dai molteplici scritti meravigliosi, non può esser trattenuta con il premio dovuto per ricompensa5. Dal mare di tanti miracoli io ho pensato di attingerne alcuni, non tutti, cosa che sarebbe impossibile.
53 Gesù Cristo, vera luce6, guardando dalla sede della sua grandezza7, per i meriti del nostro santo, restituì la luce a molti, privati della vista. Una tale di Civitanova, chiamata Masetta, figlia di Alessandro, risultava del tutto cieca. Pieno di tristezza suo padre, non potendo ricevere nessun aiuto dalla medicina, decise di ricorrere al Medico Celeste8 e non stancandosi di implorare l’aiuto del beato Nicola prontamente lo supplicava battendosi il petto9. Non ci volle molto che la ragazza vedesse meglio di prima e suo padre fu invaso da una singolare letizia.
54 Dimisia di Zacheo di Enrico di Bernardo di San Severo soffriva così tanto all’occhio sinistro che, privata della vista, non poneva alcuna speranza nei medici. Si affidò dunque a san Nicola, con la promessa di alcuni doni; tuttavia poiché la sua richiesta non era radicata nella fede, ella fu colpita dalla malattia in modo ancora più grave. Una volta però che fu corretta la sua debolezza, ella rivolse di nuovo le sue preghiere al beato Nicola con più ardente affidamento; ripetuto il voto, subito allora dal suo occhio cadde una scaglia e alla luce di un tempo ella è restituita. Per invidia dell’antico nemico10, la figlioletta che teneva sulle sue ginocchia colpì l’occhio guarito con tale forza da farlo uscire dalla sua sede naturale. La donna di nuovo ricorse all’aiuto del beato Nicola e come prima fu risanata.
55 Andriolo Merio, ora abitante di Tolentino; ebbe un fratello carnale il quale fu colpito in modo talmente violento ad un occhio che secondo il parere dei medici non si poteva sperare di recuperargli in alcun modo la vista. Privato dell’aiuto umano, ricorse a quello divino: raccomandandosi ai meriti del beato Nicola, ebbe reintegrata la pupilla e subito la vista restituita. Tenacio di Ugolino di San Ginesio, essendo privato della vista, unitosi a un nutrito gruppo di pellegrini, voleva lui stesso giungere alla tomba del beato Nicola; era preso da tale e tanta devozione che sperava di riacquistare subito la vista, se solo fosse riuscito a giungere alla soglia della tomba del santo. Tuttavia, poiché in molti la carità si raffredda11, nessuno pensò di accompagnare colui che era privo di vista, così accadde che colui che più velocemente doveva ricevere il beneficio della guarigione risanato, si trovasse ultimo fra coloro che camminavano.
56 Accadde allora una cosa meravigliosa. Giunta la notte decise, per celeste intuito, di fermarsi a dormire sotto un albero di ulivo. Nelle tenebre della notte e tra le bestie selvatiche è reso sicuro dalla fede nell’amato santo, come se lo avesse assistito una moltitudine di compagni. Colui a cui devotamente si era affidato, vedendo dall’alto tanta fede in modo meraviglioso donò la vista a chi tanto a lungo l’aveva desiderata. Infatti una luce dal cielo lo illuminò e lui che prima non poteva vedere niente poté vedere nella notte qualsiasi cosa, in modo chiaro e luminoso. La mattina senza alcun impedimento, rapido si reca alla tomba del beato Nicola e sciolto il voto loda Dio nel suo santo e lo onora.
Anche Bona di San Severino aveva un figlio sofferente ad un occhio per un flusso di sangue che completamente gli impediva di vedere. Si rifugiò alla tomba del beato Nicola e subito – formulata la promessa ed adempiuti i voti – ottenne la guarigione del figlio.
57 Guilino di Bartolino di Monte Vulno, soffriva per un ascesso ad un occhio e da quindici giorni non riusciva più a vedere. A giudizio dei medici quell’occhio non poteva essere sanato. Si rivolse allora al Medico onnipotente. Offrendo un voto a Nicola, senza dover attendere, ottenne la purificazione dell’occhio e con essa la vista. Tommasina moglie di Materno di Monte Santo da due anni non vedeva: ricorse allora ai soliti aiuti del santo e subito ritrovò la vista perduta.
58 In seguito, mentre Dio moltiplicava miracoli e prodigi nel periodo della sepoltura del sant’uomo, una donna nobile di cui tacerò il nome a causa della sua esecrabile malvagità, ascoltando il suono delle campane che venivano suonate a render pubblico il moltiplicarsi di tanti miracoli, con temeraria audacia disse: . Cosa prodigiosa! Non appena furono pronunciate quelle ingiuste parole, gli occhi uscirono fuori dalla testa del suo bambino che stava tra le braccia di una nutrice e i nervi degli occhi si distesero giù fino alla mascella, tanto da far sembrare un mostro il piccolo che fino ad un attimo prima dolce e bello era allattato. Piange la nutrice e la madre moltiplica la disperazione, ma è chiamato il padre. La disgrazia suscita meraviglia per la straordinarietà assoluta dell’accaduto.
59 Che altro? L’uomo viene a sapere della bestemmia pronunciata dalla moglie e si sforza di mutare in benedizione quella maledizione. Così loda il santo, cercando il suo patrocinio, ed esclama: . Oh altezza di potere affidata al beato Nicola! Improvvisamente, mentre i genitori sono intenti con insistenza a querule lamentazioni o a pie postulazioni, gli occhi tornano a posto al piccolo cieco. Constatatolo, i genitori si recano devoti con i doni promessi alla tomba del santo.
60 Giovanni di Pietroboni di Sane, di Tolentino, aveva un figlio e una figlia che soffrivano per un flusso di sangue negli occhi. I loro occhi infatti invece di emettere come naturalmente deve avvenire un umore acquoso, producevano sangue. Constatando che i consigli dei medici erano inutili, Giovanni ricorse con devozione al medico singolare, il beatissimo Nicola, con devozione. Affidandosi con ardore al suo aiuto, Giovanni poté in breve vedere liberati gli occhi di entrambi i figli.
Romano di Tommaso di Tolentino soffriva di oftalmia, una malattia degli occhi. Così da tre settimane ci vedeva male. Afflitto dalla malattia fece un voto e sostenuto dall’aiuto del beato Nicola, subito è liberato dall’oftalmia degli occhi.
Servita, moglie di Bonistangi, ebbe un figlio. Questo fu colpito da un oscuramento degli occhi in maniera tanto grave che per un mese fu cieco, del tutto privato della vista. Per questo la madre è presa da un grandissimo dolore tanto che avrebbe preferito avere un figlio morto piuttosto che cieco. Allora imploro colui che non dimentica di aver misericordia15 e affidò il figlio cieco al beato Nicola: ecco allora che colei che con sofferenze accompagnava un cieco prima del voto, pronunciato il voto, riottenne un vedente.
61 Come i ciechi vedono per i meriti del santo così anche gli zoppi non mancano di camminare16. Fino a poco tempo fa un tale a Firenze, se ne stava afflitto a chiedere l’elemosina, da due anni davanti alla porta della chiesa di Santo Spirito, del nostro Ordine17; non era soltanto storpio, malato alle gambe e ai piedi, e incapace di muovere le braccia, ma era pieno di ferite. In quella stessa chiesa era conservata un’immagine del beato Nicola alla quale molti infermi e malati accorrevano per domandare il beneficio della guarigione. Disse allora un frate allo storpio: .
62 Non appena il frate se ne fu andato nacque nel cuore di quel sofferente una devozione tanto grande che buttati i bastoni e gli altri strumenti con cui si sosteneva, cadendo per terra, pregò in lacrime, dicendo: . Subito allora, alla devota invocazione del sofferente le gambe contratte si distendono, le caviglie e i piedi si consolidano distendendosi, le mani tornano diritte. Si alza dunque colui che era disteso camminando in chiesa fino alla porta del chiostro e chiama i frati dicendo: . Alla voce dell’infermo i frati accorrono e arrivano anche molti laici. Allora viene suonata la campana e ancora più gente accorre ad osservare il miracolo18. Oh fede che fortemente ti raffreddi in molti! I fiorentini19, lì accorsi incuriositi al primo richiamo, non lasciano riposare il risanato: ora qui ora là gli comandano di camminare, di distendere le braccia, di aprire le mani e di distendere tutto il corpo. Lo vedano di nuovo sano e vedono le piaghe cicatrizzate e secche. Constatano così che tutto il corpo è di un unico colore (come non era prima), la carne reintegrata e sana.
63 Un altro tale, di Tolentino, giaceva in un carretto tutto ricurvo, a causa della contrazione di tutte le membra; su quel carretto e in quelle condizioni era pure costretto ad espletare qui i suoi bisogni naturali. Per questo la vita gli era difficilissima e insopportabile. Perciò un tale, di nome Mercatante, avendolo visto passando, memore dei miracoli del beato Nicola, che allora era stato sepolto da poco, gli disse: . Quello rispose: . Il passante replicò ancora: . L’infermo subito disse: . Cosa inaudita! Subito dopo aver detto queste parole, sotto gli occhi di molti, si alzò dal carretto e stando in piedi su un bastone potè camminare colui che prima giaceva su un carro. Il sant’uomo non accordò a colui che gli si era affidato di più di quanto aveva chiesto, affinché fosse chiaro che sì lui aveva in Dio il potere di compiere miracoli, ma l’infermo nel chiedere la guarigione aveva un poco dubitato nella fede. Come se avesse voluto dirgli:.
note
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1 Nell’edizione del Mombrizio il testo in questo punto non dà senso; gli editori ricorrono dunque al testo del manoscritto senese, dandolo in note. E’ questo che traduciamo.
2 Ps. 44, 2, ma il testo edito dal Mombrizio, invece di calamus scribae velociter scribentis ha calamus velociter scribentis.
3 Ex. 31, 18; Deut. 9, 10.
4 Ps. 135, 4
5 Si noti il riferimento ai problemi amministrativi legati al processo di canonizzazione.
6 Ioh. 1, 9.
7 Sap. 9, 10.
8 La metafora del medicus supernus ricorre in Agostino; per la superna medicina cfr. anche Gregorio Magno.
9 Si noti che nel resoconto, pur sintetico, Pietro non rinuncia ad una formula è vagamente chiastica, anche per il ricorso all’allitterazione “implorare non cessans … concutiens plorabat”.
10 L’espressione – che evoca l’inganno di Satana nell’Eden – si ritrova in Agostino e ricorre nella liturgia; soprattutto però è consueta in Gregorio Magno e da lui spesso deriva nella tradizione posteriore.
11 Matth. 24, 12, nel discorso apocalittico di Gesù.
12 Marc. 9, 23, l’espressione è di quel padre che aspetta da Gesù il miracolo di liberazione del piccolo figlio indemoniato.
13 Ps. 102, 9.
14 Est. 9, 22.
15 Ps. 76, 10.
16 Matth. 11, 5; Luc. 7, 22.
17 È possibile che si riferisca ora dello stesso miracolo narrato con lievi differenze dal testimone XVI nel Processo per la canonizzazione di san Nicola da Tolentino, praef. A. Vauchez, ed. D. Gentili, Roma, 1984, p. 124. Questo testimone – Berardo Appillaterra, notaio di Tolentino – aveva fatto parte del gruppo degli ufficiali fiorentini accorsi a verificare il miracolo di un paralitico risanato presso la chiesa di Santo Spirito ed era stato richiamato sul luogo dal suono a festa delle campane; in quella occasione egli ricorda che insieme agli ufficiali “interfuit magnus populus marum et mulierum”. Nel suo racconto però non vi è riferimento all’immagine di san Nicola venerata a Firenze e si dice che il paralitico era malato da più di dieci anni. Berardo evoca anche, pur genericamente, una quantità di miracoli avvenuti presso la sepoltura di Nicola all’indomani della sua morte. Se si trattasse dello stesso miracolo, la guarigione del paralitico fiorentino potrebbe essere datata al maggio del 1325, conformemente a quanto dice Pietro (“fino a poco tempo fa…”) e alla datazione presunta della Vita, che risale al 1326. Si ricordi per inciso che Pietro da Monte Rubbiano non fu tra i testimoni al processo; per questo problema cfr. Introduzione in Processo per la canonizzazione, cit., p. XVIII.
18 Il testo del Mombrizio non dà qui senso, per questo ricorro ai codici per integrare il periodo.
19 Si noti la rappresentazione dello scetticismo e della curiosità dei cittadini di Firenze, smentiti dall’evidenza del miracolo.