VITA DI SAN NICOLA SCRITTA DA PIETRO DA MONTERUBBIANO
a cura di Francesco Santi

CAPITOLO 3. Austerità di vita e tentazioni

Il tema principale del terzo capitolo della Vita di Nicola è quello dell’astinenza dalle carni, che il santo vive ora nella forma più rigorosa. Si trattava di un motivo di grande attualità e per comprenderlo basterà ricordare che proprio in quegli anni il medico e profeta Arnaldo da Villanova scriveva il suo radicale e fortunatissimo De usu carnium, in difesa delle forme estreme di penitenza. Nel nostro testo acquista tuttavia evidenza soprattutto il tema del conflitto tra le virtù, quale espediente di Satana; come vedremo, la privazione del cibo (che corrisponde ad un intimo desiderio di perfezione) e l’obbligo dell’obbedienza ai superiori (luogo simbolico dell’umiltà), sembrano reciprocamente porsi in tentazione; la dinamica psicologica della tentazione subita da Nicola e la sua soluzione spirituale suscitano l’interesse di Pietro.

Sul piano letterario, si noterà come in questo capitolo si verifichino alcuni dei più evidenti casi di conflitto tra le diverse redazioni rimasteci della Vita. Da parte nostra continuiamo a seguire il testo offerto negli Acta Sanctorum dai Bollandisti. Nell’edizione critica si darà poi conto della situazione.

Dove si narra la straordinaria astinenza del santo; l’ascesi a cui sottopose il proprio corpo e le sue miracolose guarigioni; le tentazioni superate e il combattimento sostenuto con i demoni.

16 Il nemico del genere umano1 tentò allora di frenare il desiderio santo, che però doveva prevalere, con l’aiuto del nostro Signore e Salvatore, in modo meraviglioso. Davvero, se il Signore prova gli eletti come oro nella fornace2, la pensata diabolica fu l’ingresso della “fornace”, perché il beatissimo Nicola fosse provato “come oro”. Dove l’antica malizia del diavolo erige più forti macchine di tentazioni, là la divina clemenza pone a sua volta più robuste capacità di difesa: accadde così che dove il nostro sant’uomo fu ornato, difeso e fortificato dal Signore per mezzo di virtù, proprio qui provò sempre di più i tormenti diabolici3.

Tornando a Tolentino, come gli era stato comandato dall’oracolo divino4, Nicola si trovò trasformato in un uomo diverso, in maniera miracolosa; qui infatti, per quasi trent’anni, non mangiò mai né carne, né uova, né pesce o altri alimenti grassi, né formaggi o frutta, sia sano sia malato. Ma una volta, essendosi ammalato e preoccupandosi i frati della sua debolezza, vennero chiamati i medici che egli non voleva, riponendo la sua speranza5 nel suo medico Gesù6.

17 I frati, preoccupatissimi per la sua salute, considerando la debolezza contratta, lo consigliarono affinché mangiasse almeno le carni più leggere: ma lui non solo non volle ascoltare il loro parere, ma respinse gli stessi medici7. Anche il priore del luogo, constatando il pericolo per il suo sottoposto, lo esortava con insistenza a seguire il consiglio dei medici. Il sant’uomo gli rispondeva umilmente: “Ma perché, mio priore, desideri danneggiarmi8? Forse non capisci che questo corpo che un tempo gustò il piacere del cibo, altro non ambisce che tornarci alla svelta? Abbi pietà di me allora; è meglio porre un freno a questa carne piuttosto che lasciarle sciolte le briglie9 perché trascini l’anima dannata nelle fosse dei peccati”10. Non riuscendo ad opporsi al proposito del sant’uomo, il priore si rivolse al priore generale, che in quel tempo si trovava nel convento, e riferendogli quanto stava accadendo, insistette con lui affinché ingiungesse al santo di seguire il consiglio dei medici.

18 Il priore generale11, messo al corrente del pericolo in corso, si recò dall’infermo, lo salutò e dopo avergli mostrato molti e diversi esempi d’ammonizione, gli comandò per salutare obbedienza, di cominciare a mangiare, come sapeva che i medici avevano consigliato. Il sant’uomo non voleva assolutamente venire meno all’obbligo dell’ubbidienza, ma nello stesso tempo cercava in ogni modo di respingere le carni. Allora chiamò il padre priore e gli disse di essere pronto ad ubbidire al priore generale: “È questo che ho promesso – disse – questo portai come primo dono al mio Salvatore, alla sua santissima Madre e al beato Agostino; questo è quanto ho desiderato conservare fino alla morte”12. Dunque, secondo la prescrizione dei medici, gli furono preparate le carni. Fra il vizio della gola e l’errore della disubbidienza, quasi posto tra due pericoli13, il sant’uomo sperimentò nella sua mente una grande battaglia tra opposti pensieri; infine decise e accettò un piccolo pezzetto14 di carne, per poi dire: “Ecco, ho ubbidito: non tormentatemi ancora con il vizio della gola”.

19 Per il resto Nicola si tenne saldo al consiglio del migliore dei medici e il medico celeste Gesù Cristo, riconoscendo tanta costanza nel suo servo, lo risanò rapidamente, senza il grasso del cibo e senza assumere farmaci. Per la qual cosa egli gioiva delle ristrettezze dell’astinenza15, domando la carne, che la sua buona salute riusciva ora a sopraffare del tutto; infatti (quando non era afflitto da una eccessiva spossatezza) non solo si asteneva da cibi grassi, ma nella II feria, nella IV e nella VI, nonché il sabato, in onore della Vergine Maria, si saziava solo una volta al giorno, a pane e acqua16. Colui che aveva sconfitto i progenitori con il vizio della gola17 e che aveva tentato il secondo Adamo, nostro Salvatore18, proprio lui ugualmente cercò di avere la meglio sul nostro Nicola, pure tentandolo: il diavolo infatti lo induceva spesso a ricordare come gli altri frati trattassero il cibo e quanto spesso fossero dichiarate19 infermità e soprattutto dolori alle giunture, torsioni dello stomaco, debolezza del capo, offuscamento dello sguardo e della vista, attribuite all’asprezza dell’eccessiva astinenza.

20 Era spesso tormentato in questi e in simili pensieri, tanto che una volta fu preso dal turbamento e diceva a se stesso: “E se la mia astinenza non fosse gradita a Dio che proprio in ragione di essa concede al diavolo di esercitare su di me il dominio di tante tentazioni20? Ecco dunque, aiutami Dio21, perché se tu non mi aiuti, Signore, in breve l’anima mia abiterà nell’inferno”22. Gesù Cristo, principe assolutamente invincibile, non volendo che perisse il suo soldato mentre combatteva sul campo della tentazione, apparendogli in sogno gli disse: “Nicola, non essere triste, anzi rallegrati, perché mi piace l’opera che hai incominciato”23. Svegliato da quella voce il santo esclamò: “Sono lieto delle cose che il Signore mi ha detto. Andiamo rallegrandoci nella casa del Signore”24. Da allora, divenuto del tutto sicuro, sopportava lietamente e godendone le tentazioni25 di cui abbiamo parlato.

21 Costringendosi dunque ad una astinenza con maggiore ardore, Nicola fu preso dalla febbre e si ammalò ancor più gravemente, per l’azione di quello stesso nemico che aveva ricevuto dal Signore il potere sulla carne di Giobbe26. Il diavolo fece ciò sforzandosi di trascinare nel tedio disperato della malattia quell’anima che non aveva potuto corrompere con il vizio della gola. Tuttavia il sant’uomo, vedendosi tanto debole da rischiar la vita, scoprendo la diabolica tentazione da cui era minacciato, di continuo implorava l’aiuto della Vergine e del beatissimo Agostino, e proprio mentre ne implorava l’aiuto, dolcemente si addormentò. Si racconta allora che subito la Madre di Dio, accompagnata dal beato Agostino, gli apparve mentre dormiva, avvolta in uno straordinario splendore; guardando verso di lei e soprassalendo in pensieri di ammirazione, il sant’uomo esclamò: “Che cosa è accaduto, o signora, per cui tu tanto splendida vieni a me27, che sono polvere e cenere?”28.

22 Lei allora disse: “Io sono la madre del tuo Salvatore, la vergine Maria; mi invocasti spesso in tuo aiuto, con Agostino, che vedi accanto a me. Ecco, siamo venuti, affinché tu potessi avere, per mia cura, una prescrizione risanatrice “29. Indicando poi con un dito la piazza, aggiunse: “Manda un messo là, a qualche donna, e costui porti per te un pane fresco, donato in nome di mio figlio Gesù Cristo; quando lo avrai ricevuto, tu lo mangerai intinto nell’acqua e allora riacquisterai la salute”. O Vergine prudentissima, con questa medicina davvero bene consigliasti il santo: nella sua malattia nessun altro cibo avrebbe assunto altrettanto volentieri quanto quello che ora per amore tuo assumeva molto avidamente per averne salute: per mostrare come la sua astinenza fosse gradita a te e a tuo figlio, con il cibo dell’astinenza volesti risanarlo.

23 Svegliatosi allora il sant’uomo chiamò il suo aiutante e, tacendo della visione, lo mandò nel luogo che gli era stato mostrato per chiedere un pane, in nome di Gesù Cristo. L’aiutante, ricevendo con gioia il pane fresco da una certa donna, lo immerse nell’acqua e glielo portò da mangiare; lui, fatto il segno della croce sul pane, assuntane una piccola porzione e ricevutone senza alcuna attesa il beneficio di una perfetta salute, si rialzò.

Ma che altro potrò dire della sua astinenza quando, giunto all’età di sette anni, per tre giorni alla settimana cominciò a digiunare, imitando in parte san Nicola di Bari, il quale si asteneva dal seno della madre nella II, IV e VI feria. Davvero non sperimentò l’età dell’infanzia colui che da giovane sosteneva un’astinenza da vecchio. Non si provava meraviglia da colui che già da giovane era stato così docile a digiunare, se era ora così avanzato nel digiuno.

24 Non solo con il digiuno e l’astinenza, ma anche con i flagelli e con altre pene costringeva il suo corpo a servire l’anima30. Accontentandosi di solo un po’ di paglia, dormiva per qualche ora della notte e poi si alzava a pregare. Castigava la sua carne con una catena di ferro; usava rozze tuniche e per evitare piaceri del corpo rifuggiva le vesti delicate, sempre seguendo l’ ammonimento evangelico: “Ecco, quelli che si vestono mollemente, abitano le case dei re”31. Fu tanto assiduo nella preghiera che pregava sempre32: dalla Compieta al canto del gallo; dal Mattutino fino alla mattina; dopo la messa (a meno che non fosse occupato nelle confessioni) fino all’ora Terza e dopo la Nona (salvo obblighi d’obbedienza) fino al Vespro; e ciò oltre alle preghiere delle ore stabilite, nelle quali era poi il primo. Il luogo delle sue preghiere non era solo l’oratorio presso uno degli altari dove ora giace sepolto, ma anche nella cella, dove aveva collocato due pietre33: su una di esse piegava le ginocchia e sull’altra appoggiava le braccia quando per la troppa fatica dell’orazione era stanco, in modo che, se le braccia non erano afflitte dalla fatica, fossero almeno castigate dal freddo del loro appoggio.

25 Provando invidia per la devota orazione di lui, il diavolo lo molestava non solo inducendo cattive ispirazioni, ma con parole e apparizioni. Una volta accadde così che, mentre il santo in oratorio pregava più devotamente davanti all’altare di cui ho parlato, il diavolo non solo spense la lampada che illuminava, ma anche la spezzò gettandola a terra34. Mettendosi sopra il tetto dell’oratorio, produceva voci delle più strane bestie e rovesciando gli embrici sembrava voler distruggere il tetto. Ma il sant’uomo sapendo che si trattava di illusioni del diavolo35, più intensamente pregava. Ecco allora che il terribile nemico entrando con furie e terrore per la porta, lo assalì mentre pregava e lo colpì con tali colpi che per molti giorni le cicatrici delle ferite erano visibili in tutto il suo corpo.

26 Un’altra volta mentre Nicola si cuciva una tunica, il nemico del genere umano gli sottrasse una parte di quella tunica36. Il sant’uomo volendo ricongiungere quella all’altra parte e non trovandola, la cercava e ricercava, e non riuscendo a trovarla, diceva: “Santo Dio, ma chi può prendersi gioco di me così? Davvero costui non è degno di essere nominato!”. Subito il diavolo rispose alle parole del santo, dicendo: “E’ vero, ti ho ingannato e ti ingannerò ancora! ma in modo diverso da quello che ho adottato finora, dato che così non sono riuscito a superarti”. E il sant’uomo: “Chi sei?”; e quello: “Sono Belial, assegnato al tormento della tua santità”. E il santo “Se il Signore è il mio aiuto, non temerò ciò che può farmi l’uomo”37.

27 Una volta di notte, non volendo trascurare la consueta orazione, non essendo ancora aperto l’oratorio, dato che il sant’uomo anticipava l’ora del Mattutino, e volendo entrare nel refettorio dove era dipinta un’immagine del crocifisso sulla porta, fu spinto e gettato a terra da Belial con tanta forza che appena gli rimase il respiro. Tuttavia si fece forza e nel nome del Crocifisso si rialzò; volendo andare a pregare fu colpito e di nuovo piegato a terra. Infine si sforzò di tornare in dietro ma era sbattuto contro ogni angolo che incontrava, con violenza. Grazie a Dio, si sentì il rumore dei demoni che combattevano col santo: i frati svegliati accorsero presso il beato Nicola e lo sollevarono da terra. Lo portarono al povero letto, incapace di stare in piedi. Qui subito confortato da Cristo, pur sostenendosi con l’aiuto di un bastone, compiendo le consuete orazioni, rese grazie e lodò Cristo salvatore.

note
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1
  L’espressione risale a Gregorio Magno che la usa anche nei Dialogorum libri IV, nel racconto della vita di S. Benedetto: III, cap. 16 (SChr 260). Sebbene essa sia poi utilizzata da vari altri autori, la riferisce specificamente alla penna di Gregorio ancora Salimbene da Parma, nella Cronica (ed. G. Scalia, 1966, p. 664).
2
  Sap. 3, 6. La metafora è spesso ripresa dai Padri, in particolare da Agostino, Bernardo e Gregorio.
3  
Si noti la costruzione chiastica del periodo e l’uso della metafora: il santo è città assediata. Qui Pietro formula il tema del capitolo, tipico della tradizione agiografica. Lo fa con una certa eleganza: si esprime in maniera enigmatica e munito di una leggera ironia la cui amarezza è stemperata dall’attesa del successo preparato per Nicola; tuttavia si sappia che la destrezza diabolica riesce a generare la tentazione proprio nell’esercizio delle più valorose virtù: l’astinenza e l’obbedienza possono essere rese nemiche?
4  
Cfr. supra, nell’ultimo paragrafo del precedente capitolo.
5  
Ps. 77, 7 (o Ps. 72, 28).
6  
Cfr. Marc. 2, 17. La metafora è cara ad Agostino, per cui cfr. almeno Enarrationes in Psalmos ps. 130, par. 7, lin. 18 (CCSL 40) e meglio Sermones, sermo 88, in “Revue Bénédictine ” 94 (1984), p. 74, lin. 2: “Iesus Christus medicus nostrae salutis aeternae”. Sull’uso di questa metafora nel sec. XIII, cfr. C. Crisciani, ‘Exemplum Christi’ e sapere. Sull’epistemologia di Arnaldo da Villanova in “Archives internationales d’histoire des sciences” 28 (1978), pp. 245-92.
7  
Il testo latino è introdotto da una allitterazione (desperantes de eius salute … contracta debilitate).
8  
Tutto il dialogo evoca diversi precedenti nella tradizione agiografica. Puntualmente si cita Agostino, De utilitate ieunii, cap. 10 ed. S. D. Ruegg, 1969 (CC SL 46).
9  
“Amat Deus disciplinam … falsa innocentia est habenas laxare peccatis”: Agostino, En. in Ps. 50, 24 (NBA XXV, 1328). L’alternativa posta da Nicola evoca il consiglio evangelico in Matth. 18, 8 e Marc. 9, 42.
10  
Ps. 93, 13 (da cui frequentemente nella patristica antica e medievale).
11  
Si tratta, secondo la tradizione, di Francesco da Monterubbiano: eletto a Napoli nel 1300, morirà a Gand (Gent) nel 1307.
12  
Pietro ricorre all’anafora per solennizzare la decisione di Nicola, come in una riconferma del voto monastico.
13  
Le espressioni usate evocano la situazione illustrata nel precedente capitolo e subito dopo al § 20: quello che si teme del tentatore è soprattutto la sua insidiosa intelligenza (le altitudines Satanae di Apoc. 2, 24 nella forma della diabolica subtilitas evocata dai Padri).
14  
L’allitterazione parva particula piacque anche ad Agostino, che qualche volta la usa.
15  
Cfr. 2Cor. 9, 7: “Hilarem datorem diligit Deus”.
16  
Qui la tradizione del testo è danneggiata e divergenti le testimonianze; per correggere intanto il periodo che si legge nell’edizione del Mombrizio, i Bollandisti ricorrono all’edizione di L. Surio, che seguo nella traduzione. In questo punto una redazione della Vita inserisce il miracolo della resurrezione della pernice, fortunato nell’iconografia, che i Bollandisti non ritengono a testo.
17  
Gen. 3, 6.
18  
Luc. 4, 2-3.
19  
Leggo patefierent invece che paterentur, come in Mombrizio, preferendo questa soluzione alla correzione dei Bollandisti, che propongono pateretur (riferendolo a Nicola): tutto il discorso sembra reggersi sul fatto che Nicola gioiva della sua astinenza in virtù della sua valetudo.
20  
Altra allitterazione ricorrente in Agostino.
21  
Ps. 108, 26.
22  
Ps. 93, 17.
23  
Si noti questa citazione da Eccl. 9, 7, perché nel testo biblico subito si aggiunge: “Vade ergo et comede in laetitia panem tuum et bibe cum gaudium vinum tuum”.
24  
Ps. 121, 1
25  
Iac. 1, 2.
26  
Iob. 1, 12.
27  
Luc. 1, 43.
28  
Gen. 3, 19.
29  
Consilium sanitatis mi pare qui quasi del linguaggio tecnico dei medici del tempo; l’evocazione della prescrizione terapeutica ha quindi sapore ironico.
30  
Espressione tipica nei racconti agiografici: proprio in questa forma, ad esempio, si legge anche in Sigebertus Gemblacensis, Vita Maclovii Alectensis, ed. G. H. Pertz, 1948 (MGH SS 8).
31  
Tutto il periodo evoca l’esperienza di Giovanni Battista, infine richiamandosi esplicitamente a Matth. 11, 8 e Luc. 7, 25.
32  
Luc. 18, 1.
33  
Ricorda qui Ex. 28, 9 nella descrizione dei costumi sacerdotali.
34  
Sulla base di un’epigrafe di cui non dice l’antichità, il Torelli riferisce che la lampada fu miracolosamente restaurata da Nicola e l’olio raccolto; già i bollandisti notavano che nessuna delle fonti antiche ricorda il fatto.
35  
Episodi del genere, come quelli immediatamente seguenti, ricorrono nelle fonti agiografiche. In particolare l’espressione segnalata ricorre in Pietro Venerabile, De miraculis libri duo, I, 17 ed. D. Bouthillier, 1988 (CC CM 83), che racconta una analoga illusio.
36  
Nel testo latino il periodo ha un duplice chiasmo.
37  
Ps. 117, 6.