VITA DI SAN NICOLA SCRITTA DA PIETRO DA MONTERUBBIANO
a cura di Francesco Santi

CAPITOLO 2. Giovinezza di Nicola

Il secondo capitolo della Vita di Nicola da Tolentino, dovuta al contemporaneo Pietro da Monterubbiano, è dedicato alla giovinezza di Nicola. Divenuto sacerdote e accolto nel convento di Santa Maria a Valmanente, la sua santità comincia a manifestarsi non solo nella determinazione della volontà ascetica, ma anche in un singolare potere spirituale che gli consente di comunicare con l’aldilà. Le anime del Purgatorio chiedono e godono della sua intercessione; addirittura l’anima del fratello Gentile è sottratta alla pena infernale a cui era stata destinata. Nicola paga il prezzo di questo potere spirituale con una vita eccezionalmente povera e dura; constatandolo, un cugino canonico regolare gli suggerisce di lasciare l’Ordine degli Agostiniani, per condurre una vita più tranquilla nella comunità di cui era priore. Nicola vive allora una crisi di coscienza, ma la sua preghiera riceve una risposta nell’apparizione di ventuno angeli che gli confermano che il suo destino è con gli Agostiniani di Tolentino. La comunicazione celeste è il contesto della volontà di sacrificio di Nicola e in essa, per la prima volta, egli stabilisce il patto con la sua città.

Gli episodi di questo capitolo possono essere letti in almeno due prospettive. Il tema della comunicazione con i morti, del potere dei vivi sulle anime del purgatorio e la loro possibilità di intervenire nel giudizio di Dio fu uno dei temi teologici decisivi del pontificato di Giovanni XXII (1316-1334), che volle rivendicare l’autorità del papa sulle anime dei morti, generando un dibattito di ampie dimensioni. Può essere che Pietro risenta di questo clima teologico. È anche possibile – e questa sarebbe una seconda prospettiva di lettura – vedere in questi scambi con l’aldilà un modo di esprimere l’eccellenza del santo, che si manifesta nella partecipazione dell’uomo al giudizio stesso di Dio sulla storia. Le “lacrimose orazioni” dell’uomo santo pongono il suo spirito nel cuore stesso di Dio.

Dal punto di vista stilistico si osservano alcune ricercatezze e come al solito Pietro cerca i suoi argomenti anche valorizzando ed evocando figure dell’Antico Testamento, leggendole come profezie di figure del Nuovo Testamento, secondo il modo delle lettere di Paolo, ma anche secondo uno schema che Gioacchino da Fiore aveva diffuso non solo negli ambienti del radicalismo profetico. Il testo di cui disponiamo anche in questo capitolo ha ancora alcune incertezze, alle quali si è cercato di ricorrere con intuizione estemporanea e provvisoria, salvaguardando il senso che sembra più probabile. Solo l’edizione critica potrà indicarci la lezione meglio giustificata e la conseguente migliore traduzione.

Iniziato il sacerdozio strappa le anime dalle fiamme del purgatorio. Tentato da un cugino, persiste nello stato prescelto. È inviato a Tolentino.

10 Qualche tempo dopo, una volta che la sua vita e la sua dottrina furono con chiarezza comprovate, Nicola fu assunto al sacerdozio ed inviato dal priore provinciale in un eremo vicino a Pesaro, chiamato Valmanente, per condurvi vita conventuale1; reso pronto e sollecito dal fervore di una straordinaria devozione, ogni giorno celebrava qui la Messa nel momento assegnato. Una volta, incaricato nel calendario settimanale della Messa conventuale, nella notte immediatamente precedente la domenica si mise un po’ a dormire sul povero letto ed ecco che un’anima a gran voce e con un grande grido lo chiama: “Fratello Nicola – gli dice – uomo di Dio: rivolgiti a me! (Ps. 24, 16) “2. Nicola si volge a quell’anima, sforzandosi in ogni modo di riconoscerla, ma poiché guardatala non riusciva a capire di chi fosse stata quell’anima mentre era viva, gli chiese turbato di farsi riconoscere.

11 Quell’anima allora rispose : “Io sono l’anima di frate Pellegrino di Osimo, che hai conosciuto da vivo: allora ero tuo servo, ora sono tormentato in questa fiamma. Accogliendone la contrizione, Dio non mi destinò alla pena eterna, che nella debolezza meritai, ma alla pena purgatoria, in virtù della sua misericordia. Ora ti prego umilmente di degnarti di celebrare la Messa per i morti, affinché io sia finalmente strappato da queste fiamme”. Nicola rispose: “Ti sia propizio il mio Salvatore, o fratello, dal cui sangue tu sei stato redento; io sono però incaricato della Messa conventuale, che deve essere celebrata solennemente, e siccome non è giusto mutare l’officio – tanto meno nel giorno di domenica che viene – non posso recitare la Messa dei morti”3. Al che quello gli disse: “Vieni, o venerabile padre, vieni4 e guarda se è davvero degno di te respingere senza misericordia la richiesta che viene da una tanto misera moltitudine”. Conducendolo da un’altra parte dell’eremo, gli mostrò allora quella piccola pianura che è vicino a Pesaro5, in cui in effetti si trovava una moltitudine di gente, di ogni sesso, di diversa età e condizione e anche di ordini diversi. “Abbi misericordia, o padre, abbi misericordia di una moltitudine tanto misera6, che aspetta da te un utile aiuto; infatti se tu vorrai degnarti di celebrare per noi, la maggior parte di questa gente sarà strappata7 da questi tormenti atrocissimi”.

12 Risvegliandosi dunque il sant’uomo, mosso da una grande pietà8 per questa gente, cominciò subito ad implorare il Salvatore di tutti9 per tutti loro con una grandissima effusione di lacrime. La mattina dopo, prostrato con assoluta reverenza di fronte al priore, evitando ogni cenno di presunzione, gli parlò della visione non rivelando tutto ma solo alcuni particolari e supplicandolo di concedergli il permesso di celebrare la Messa dei morti in quella settimana. Il priore, subito accordando il suo permesso a quelle preghiere, provvide a sostituirlo con un altro nell’incarico. Nicola dunque, celebrando per tutta la settimana la Messa dei morti, giorno e notte piangeva lacrime10 d’amore per quella moltitudine che gli era stata mostrata. Ed ecco, trascorsa quella settimana, lo stesso frate Pellegrino gli apparve ancora e lo ringraziò per la misericordia11 che aveva richiesto e gli riferì di essere stato strappato con gran parte della moltitudine predetta dalle pene atrocissime, per la misericordia di Dio, per le Messe celebrate e per le preghiere lacrimose. E disse di essere così giunto con gioia alla gloria di Dio. “Tu ci hai liberato – disse – da ciò che ci tormentava, disperdesti e confondesti coloro che ci odiava”12.

13 O uomo ineffabile, i primordi della cui santità e le primizie dei meriti concorrono alla redenzione degli eletti di Dio! In purgatorio cominciò ad essere conosciuta la giovane età dell’uomo del quale la santità di vita da vecchio è vista essere venerata nel mondo: già la nave dei suoi meriti solca il mare del purgatorio e con le preghiere di questo mondo apre la terra, come con una sorta di vomere del potere a lui affidato13. Nicola non solo svuotò il purgatorio con i suoi meriti, ma anche l’inferno sembrò svuotare con le preghiere della sua pietà. Infatti una volta, mentre era conventuale nella città di Recanati, un nunzio addolorato gli si presentò giungendo dalla casa del fratello e non appena fu in presenza del sant’uomo, abbracciandogli le ginocchia a terra, piangendo e gridando a gran voce disse: “Dov’erano le tue preghiere e dove le tue virtù, o Nicola santissimo? Ecco che alle tue mani si chiede conto dell’anima e del corpo di tuo fratello: in un agguato inatteso infatti egli è stato ucciso da malviventi nel castello di Monte Apponi14, come se la tua santità che amava il suo corpo e la sua anima non fossero esistiti”. Udendo queste cose il sant’uomo non poté trattenere le lacrime15, dicendo: “O misero, come è possibile che tu sia dannato! ” Rimandato il nunzio, si sottopose allora ad un’astinenza più dura, pregando con lacrime giorno e notte16 per quindici giorni, affinché il Salvatore Gesù Cristo si degnasse di mostrargli se dannata o salva fosse l’anima di suo fratello. Mentre stava in chiesa, accendendo una lampada in onore del Corpo del Signore che si trovava sull’altare, udì allora una voce che gridava e diceva: “Fratello mio, fratello mio, ringrazio Dio e il Signore nostro Gesù Cristo, il quale guardando le tue preghiere e le tue suppliche piene di lacrime con l’occhio della sua pietà, pur essendo dannato mi liberò”17. Siccome Nicola temeva gli inganni del nemico, il quale talvolta si trasforma in un angelo di luce18, e più facilmente cattura nei lacci dei peccati le anime, senza scomporsi replicò: “Perché mi tenti? Mio fratello è morto e come Dio può dannarlo così può ugualmente salvarlo”. Ma quello: “Non avere alcun dubbio, fratello mio: sono proprio Gentile, tuo fratello, liberato ora dall’inferno, da Cristo, grazie alle tue preghiere. Sta sicuro dunque e sii forte19 nelle opere di penitenza che hai cominciato: le tue opere sono tanto grate a Dio e al nostro Salvatore che qualsiasi cosa tu chiederai a lui durante la tua vita l’otterrai20; in questa altra vita, in cui io sono, tu sarai poi molto glorioso”21.

14 Tuttavia l’invidioso e antico nemico s’ingegnò di insidiare il sant’uomo nei luminosi inizi della santità per mezzo di un suo cugino, così come aveva ingannato il primo uomo per mezzo di Eva. Suo cugino era infatti priore in un monastero presso Fermo, vicino al fiume detto Tenna, chiamato Santa Maria di Giacomo. Vedendo dunque la povertà, la nudità, la penitenza e le privazioni del sant’uomo, ne è afflitto e compatendolo gli dice: “Perché devi patire tanta miseria? La condizione del tuo Ordine è poverissima, né riuscirai ad adempiere agli aspri precetti della regola; pensa alla tua giovinezza22; tu puoi rallegrarti con me nella pace di questo monastero; stretto dal vincolo della nostra parentela non sopporto più di vedere tanta miseria nella tua giovinezza”.

15 Il sant’uomo, riconoscendo il dardo della tentazione23, prese allora come scudo di difesa una devotissima orazione24 nella chiesa di quel monastero; l’Agricoltore celeste25 (il quale non vuole che coloro che mettono mano all’aratro guardino in dietro)26 in fretta procurò il salutare scudo della buona volontà27 contro la freccia della tentazione a lui che teneva piegate le ginocchia ed elevate in alto le mani e che pregava dicendo “Dirigi o Signore nel tuo cospetto la mia via”28. Subito allora, proprio in quella chiesa e in quel luogo dove pregava, venti giovani29, disposti alla maniera di due cori, vestiti di bianco, coi volti splendenti30, insieme gli si presentarono, esclamando con unanime voce per tre volte: ” A Tolentino, a Tolentino, a Tolentino sarà il tuo destino; nella vocazione in cui sei stato chiamato rimani, in essa infatti incontrerai la tua salvezza”. Nicola comprese di non aver visto uomini, ma piuttosto di essere stato ammonito da Dio stesso; così egli stesso molto tempo dopo confessò ai frati, con semplicità, rivelando appunto che sarebbe morto a Tolentino. Per quanto il cugino si sforzasse di trattenerlo ancora con blandizie, scoraggiandolo per l’asprezza dell’Ordine e esortandolo alla leggerezza della vita nel suo monastero, tuttavia – come più avanti è pienamente descritto – egli non poté dissuaderne l’animo, né distogliendolo con le asprezze né addolcendolo con promesse di prosperità, giacché Nicola già disprezzava ogni cosa temporale e secondo l’oracolo celeste si affrettò rapido31 a raggiungere Tolentino.

note
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1
  Nicola fu ordinato dal vescovo di Osimo intorno al 1267; alcuni suoi biografi hanno supposto che si trattasse di S. Benvenuto. Il convento di Valmanente fu fondato nel 1238 a poco più di un chilometro da Pesaro sulla via Flaminia. Quando vi fu inviato Nicola, il convento si chiamava Santa Maria e solo più tardi sarà intitolato a S. Nicola stesso. Il convento è tuttora aperto. Cfr. Insediamenti agostiniani nelle Marche del XVII secolo. Le relazioni del 1650 e la soppressione innocenziana, a cura di R. Cicconi, Centro studi A. Trapè. Biblioteca Egidiana, Tolentino 1994, in part. pp. 330-31, 360.
2
  L’episodio è narrato anche in Antonino da Firenze, Chronica, III, Lugduni 1543, tit. XXIV, cap. 10, f. 207v.
3
  Tutto il brano rievoca il colloquio tra Abramo e il ricco di Luca 16, 24: in particolare il dannato del racconto evangelico “clamans”, rivolgendosi ad Abramo lo invoca “miserere pater”.
4
  Anafora (“veni… veni”) e allitterazione (“veni venerande…”) per dare solennità alla richiesta.
5  
Il riferimento è forse alla piana che si stende tra il colle San Bartolo e il monte Ardizio. La notazione “illa parva planitia”, riferita a luoghi ben presenti agli occhi dei suoi lettori, consente a Pietro una lieve virata realistica nell’evocazione del sogno.
6  
L’invocazione della misericordia sulla moltitudine (miserere turbae tam miserae, di cui si deve notare la figura etimologica), richiama i luoghi in cui Gesù si commuove per la folla, in part. Matth. 9, 36; 14, 14; 15, 32; Marc. 6, 34; 8, 2, con richiami letterali.
7  
Cfr. Ps. 32, 19-20, 22: “Ut eruat de morte … expectavit Dominum, auxilium nostrum,… sit misericordia tua, Domine, super nos sicut expectavimus te”.
8  
L’espressione pietate commotus, vagamente neotestamentaria, ricorre più volte nelle Vitae Francesco d’Assisi di Tommaso da Celano (Tractatus de miraculis, Vita I e Vita II).
1Tim. 4, 10 e Sap. 16, 7.
10  
Cfr. Luc. 18, 7 ed anche Ps. 41, 4.
11  
Riprende la citazione del Ps. 32, 22, di cui supra.
12  
Ps. 43, 8. Come spesso nella patristica, Pietro ha liberasti nos in luogo del salvasti della Vulgata.
13  
L’uso della metafora della nave e del mare, del vomere e della terra cerca una conclusione ad effetto dell’episodio ed apre alla successiva narrazione delle opere di Nicola.
14  
Nella tradizione testuale si verificano divergenze su questo toponimo.
15 
Cfr. Ioh. 11, 32-35, in cui di fronte a Lazzaro, “lacrimatus est Iesus”.
16  
Cfr. Ps. 41, 4.
17  
Si è accennato ai problemi posti da questo testo; non mi pare però che la traduzione dia luogo a dubbi: “Cum esset damnatus, (scil.: dominus Iesus lachrymosas orationes tuas attendens) liberavit me” AASS n. 13). L’editore L. Suhr omette tutto il brano relativo alla liberazione di Gentile.
18  
2Cor. 11, 14.
19  
Ios. 1, 7.
20  
2Sam. 19, 38: sono le parole che David dice a Chimam, affidato al re dal padre ottantenne Barzillai.
21  
Il testo edito da Mombrizio in questo punto non funziona: gli editori degli AASS ricorrono allora a quello del manoscritto di Utrecht, da cui pure traduco.
22  
La serie di metafore che seguono è ricorrente nella tradizione medievale e patristica e sviluppa temi biblici indicati. Si veda comunque, per tutto il contesto, Bernardo di Clairvaux, Sermones super psalmum ‘Qui habitat’ sermo 6 (alia recensio), par. 7 ( ed. J. Leclercq- H. Rochais, vol. 4, pag. 410, lin. 20): “Contra omnia iacula tentationis muniendi sumus scuto divinae protectionis”.
23  
Gregorio Magno, Moralia in Iob, XXIII, 1 lin. 20 (ed. M. Adriaen, 1980, CCSL 143b).
24  
Sap. 18, 21.
25  
Agostino, Sermones, 216 (PL 38, col. 1078) che naturalmente ricorda Ioh. 15, 1.
26  
Luc. 9, 62.
27  
Ps. 5, 13.
28  
Ps. 5, 9.
29  
2Macc. 10, 35.
30  
Cfr. Matth. 17, 2.
31  
Espressione pleonastica; si trova anche in Tommaso da Celano, Legenda sanctae Clarae, par. 53, 6 (riferita ad un cieco che si affretta al sepolcro di Chiara per riceverne guarigione) (ed. E. Menesto, S. Brufani et alii, Fontes franciscani, Assisi, 1995, p. 2445).